Non di sola cola si disseta l’America: quei sorprendenti whiskey made in USA
- Martino
- 3 giorni fa
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Provate a dire il primo Paese al mondo che NON associate al concetto di artigianalità. Okay, è vero, nel titolo si parla già di America e la risposta potrebbe non risultarvi spontanea. Però siamo ugualmente sicuri che molti di voi avrebbero esclamato in ogni caso “Stati Uniti!”, magari con la sola variante di qualcuna fra le più grandi nazioni del pianeta.
Sarebbe una risposta diffusa, ragionevole, ma in parte sbagliata: l’America, così ampia e contraddittoria per definizione, ospita nei suoi grandi confini identitari anche l’artigianalità, e a volte persino “micro”. Lo fa specialmente in un ambito: quello degli alcoolici. Il mondo di birrifici e micro-birrifici americani in particolare ha dei numeri strabilianti, con quasi 10.000 realtà che producono fiumi di birra di ogni tipologia, con grande cura delle materie prime ed ancora più alta capacità di sperimentazione.
E, venendo a noi, si sa, birra e whisky sono nonna e nipote, e viceversa, dipende dal criterio, o comunque parenti stretti: nelle loro vene scorre un mix comune di cereali e lievito. Ecco perché l’artigianalità negli States non si limita al fermentato ma procede oltre, -bene!- fin dentro il distillato: sono circa 2500 le distillerie totali, di cui circa 800 annoverabili fra quelle serie, che non distillano solo per gioco, magari nel retro di una farm.
Così, una degustazione di whiskey americani può sorprendere e non poco, sia per qualità dei prodotti che per varietà: geografica, innanzitutto, perché si va dall’America dei boschi, delle pianure di cereale, fino a quella delle città medie o grandi, che possono essere da rednecknell’entroterra o un po’ più da fighetti sulle coste; varietà anche storica, perché si passa dai grandi brand nati almeno un secolo fa, fino a quelli sorti l’altro ieri e molto forti da un punto di vista tecnologico; infine, varietà produttiva, perché si sorseggiano whiskey di segale, i rye whiskey, così come i cornwhiskey gialli come il sole, o i classicissimi bourbon, che per definizione sono a miscela mista, e addirittura i single maltwhiskey di ispirazione scozzese e di puro orzo, ma americanissimi nell’esecuzione.
Quindi, quella sera alla storica Trattoria San Filippo di Precotto (Milano), abbiamo goduto di pizzoccheri e gnocco fritto della casa, per poi tuffarci nei bicchieri e girare come un flipper nei quattro angoli dell’America del Nord, con quattro calici pieni di:
- Abasolo, whiskey de Mexico, perché per conoscere il distillato made in USA non si può non partire da una buona conoscenza del mais, e si dà il caso che questo whiskey fatto a sud del Rio Bravo sia prodotto con la variante più antica del cereale in questione: ineludibile;
- James E. Pepper, Straight bourbon whiskey, di origine controllata del Kentucky, che più classico proprio non si può: canone;
- Westward, Single malt American whiskey, figlio della Portland progressista e innovativa, coraggioso e resinoso da impazzire: sperimentale;
- Knob Creek, Straight rye whiskey, un pugno di spezie balsamiche a 50°, fatto come la vecchia tradizione post-coloniale vuole: sorprendente.
Con questi quattro grandi dram e questa serata, si è momentaneamente chiuso il nostro primo viaggio di gruppo nel whisky, che ci ha fatto salpare da un porto scozzese, fare pausa in Irlanda, approdare sulle coste americane. Oltre a questo grande asse però, il Re dei distillati si è lanciato a ogni latitudine del globo, per sposarsi di volta in volta con il gusto, le colture, i legni e le tradizioni locali. Non ci si può mica fermare qui, no?